martedì 15 settembre 2020

Blogtour: L'inferno di Dante Alighieri


 

Salve lettori, per questa mia tappa del blogtour  in collaborazione con la casa editrice Mondadori (che ci ha gentilmente inviato la copia cartacea della bellissima edizione illustrata), analizzerò alcune caratteristiche dei canti I, II e III.




Per ogni canto, infatti, ho estrapolato degli approfondimenti che vorrei fare assieme a voi.

Iniziamo!


Le tre fiere dantesche nelle mitologie di tutto il mondo.


Nel I Canto della Divina Commedia, Dante si trova nella selva oscura del peccato. Ad ostacolare la sua ascesa al colle luminoso della grazia vi sono tre bestie: il leone, la lupa e la lonza che simboleggiano rispettivamente la superbia, l'avarizia e la lussuria.



Ma il loro significato, la loro figura, nelle varie mitologie che si sono succedute sulla terra, sono sempre stati questi? Andiamolo a scoprire!




Il leone:  è spesso considerato simbolo di coraggio e regalità.

Nell'antico Egitto la dea Tueris, corpo da ippopotamo e testa da leone proteggeva i neonati.

Sekmet, invece, con l'aspetto da leonessa antropomorfa, era la signora della guerra.

Il leone appare anche nelle sfingi, creature mitologiche col corpo da leone e testa da donna, che proteggevano il faraone e ne custodivano i segreti.

Nell'antica Grecia i leoni trainavano i carri degli dei Dioniso, Demetra e Rea, e anche il carro della babilonese Ishtar.

Nelle tradizioni gnostiche (secondo cui il mondo non fosse stato creato da Dio, ma da eoni, ovvero emanazioni di un dio primo) il Demiurgo, dalle fattezze leonine, sarebbe un creatore malefico delle disgrazie umane.

In Cina la danza del leone scacciava demoni e fantasmi.

Nel Tibet, i leoni sulla bandiera, sono due creature mitiche simbolo di gioia e coraggio.

Anche nel buddismo il leone è simbolo di coraggio e si ritiene che Buddha, in una delle sue vite precedenti, sia stato proprio un leone!

In Giappone, i leoni “shishi” proteggono i templi dagli spiriti maligni.

Nello sciamanesimo il leone è simbolo di potere e chi invoca il suo totem può sviluppare il coraggio e consente di affrontare le paure.

Nel cristianesimo il ruggito del leone ( parola di Dio) scaccia il serpente, il demonio.

Nella simbologia massonica invece rappresenta potere e gloria, mentre nell'alchimia è simbolo di un materiale grezzo, non trattato.






La lupa (o il lupo) :  Il lupo è presente in davvero moltissime culture eurasiatiche e nordamericane.

Nella mitologia proto-indo-europea il lupo rappresentava il guerriero, il quale si 'trasformava' in lupo durante il rito di iniziazione.

Nel folklore della Lituania, la dea Medeina, dea della caccia, solitaria, voluttuosa e bella, era rappresentata come una lupa scortata da altri lupi.

Nella mitologia norrena, Fernir, figlio del dio del caos Loki e la gigantessa Angrboda, era un lupo gigantesco che fu incatensto da Odino perché secondo le profezie non avrebbe portato nulla di buono, ma Fernir spezzò tutte le catene, tranne la terza, e da allora sarà incatenato fino al Ragnarok, ovvero la fine del mondo.

Sköll invece è un lupo che cerca costantemente di mangiare Sòl,la dea del Sole, mentre Nati, suo fratello, insegue Màni, la dea lunare per inghiottirla.

Le eclissi solari e lunari avvengono quando Sköll o Nati sono quasi vicini a Sòl o Màni.

Nella mitologia greca Apollo, portatore di luce, veniva definito anche con l'epiteto Lykaios, che potrebbe significare uccisore di lupi, sottolineando la natura tenebrosa che la figura del lupo rappresentava in contrasto con quella luminosa di Apollo.

Nell'Arcadia invece era frequente il culto di Zeus- lupo, in questi territori, Zeus, in caso di siccità, si recava ad una sorgente, compiva un sacrificio e poi faceva scorrere il sangue del sacrificato nella fonte, poi, dopo aver pregato, ne immergeva un ramo di quercia e dai vapori che si sprigionavano si creava la pioggia.

Questo dio-lupo era simbolo dunque di fertilità della terra e dei cicli della vita agricola.

La lupa era spesso invocata dai genitori greci per spaventare i bambini!

Negli inferi invece, ha la funzione di accompagnare le anime dei defunti nell'oltretomba. Lo stesso Ade porta un mantello di pelliccia di lupo.

Negli etruschi il dio della morte aveva orecchie da lupo.

Anche nell’ antico Egitto il lupo era una creatura accostata alla morte: Osiride, ucciso per mano di suo fratello Set, resuscitò in forma di lupi ed ebbe la meglio sul malvagio fratello.

Anche Anubi, dio degli inferi è rappresentato come un 'cane selvatico' antropomorfo molto simile ad un lupo.

Secondo i romani i lupi erano associati al dio Marte, dio della guerra e dell'agricoltura.

Romolo e Remo, figli di Marte, furono allevati da una lupa

In Iran, secondo gli Zoroastriani, i lupi erano creature maligne appartenenti ai daeva, dei demoni.

Per i mongoli e i turchi, i lupi erano addirittura loro antenati; lo stesso Gengis Khan, riteneva di essere discendente del lupo azzurro.

Secondo i nativi americani, i lupi erano associati a forza, coraggio, lealtà e successo nella caccia.






La lonza (o lince): questo animale purtroppo non è molto noto nelle varie culture, tuttavia, nell' Antica Grecia, la leggenda narra che il re Lyncus aveva imparato le arti agricole  da Trittolemo, ma egli si rifiutò di insegnare tali arti al suo popolo e fece addirittura uccidere l suo maestro. Per punizione Demetra lo trasforma in lince.

Questa storia non è nota a tutti i greci, ma si trova nelle metamorfosi di Ovidio.

Nei nativi americani la lince è custode di segreti e misteri, anche quelli caduti nell'oblìo.






                                                                      Le muse.




Come in ogni opera che si rispetti, nel canto II troviamo l'invocazione alle muse, per aiutare il nostro protagonista e autore, Dante, a descrivere il suo viaggio negli inferi.

 Ne parla però in modo distaccato, con il solo scopo di rifarsi alla letteratura classica.

L'invocazione alle muse viene utilizzata infatti, soprattutto nella letteratura greca e può avere molteplici scopi, a discrezione dell'autore.

Le prime invocazioni alle muse le ritroviamo  nell'Iliade e nell'Odissea.

Nell'Iliade si invocano le muse figlie di Mnemosine,  che raccolgono la memoria collettiva per narrare gli avvenimenti della guerra di Troia attraverso un autore che rimane anonimo.

In questo caso, la funzione delle muse è educativa.

Nell'Odissea la musa resta sempre centrale per la narrazione, ma comincia ad inserirsi anche la voce dell' autore, questo si evolverà fino a Virgilio che nella sua Eneide dirà: “Io canto”.

Dunque il poeta si sdoppia, da una parte il saggio mezzo tramite cui le muse narrano, dall'altra parte l'uomo che racconta con i propri sentimenti, distinguendosi dalla divinità.

Successivamente Esiodo si serve delle muse non per raccontare una storia, ma per darle veridicità.

Con Solone, nella sua elegia c'è un ulteriore passaggio, non sono le muse a chiedere al poeta di raccontare un fatto, bensì il contrario, chiedendo loro di ottenere la fama e celebrità e di poter trasmettere la verità grazie a queste depositarie della memoria collettiva.


Ma chi sono le muse?




Figlie di Zeus e Mnemosine (la memoria), protette dal dio Apollo, rappresentavano le Arti nella massima espressione.

Esse sono: 

Clio: musa che rende celebre, il suo campo è la storia e il canto epico;

Euterpe: musa che rallegra, padrona della poesia lirica;

Thalia: la musa festiva, viene invocata nella commedia;

Melpomene: musa che canta, simbolo della tragedia;

Tersicore: musa che si diletta nella danza, è padrona della lirica corale e della danza;

Erato: provoca il desiderio, musa della poesia amorosa, della geometria e della mimica;

Polimnia: colei che ha molti inni, musa della danza rituale, del canto sacro e del mimo;

Urania: musa celeste, associata all'astronomia e all’epica didascalica;

Calliope: musa dalla bella voce, associata alla poesia epica.


Col passare del tempo non ebbero sempre un'attribuzione fissa, oltre alla poesia, infatti, vennero affiancate anche alle scienze e ai campi della prosa.

Dunque con il tempo diventarono protettrici di qualsiasi campo della conoscenza umana.




               Papa Celestino V – Colui che per viltade fece il gran rifiuto.


Nel III canto della Divina Commedia, dopo aver superato il fiume Acheronte grazie al nocchiero delle anime Caronte, Dante si ritrova nel limbo, un posto dove dimorano le anime degli ignavi e dei non battezzati.

Tra queste anime c'è quella di “colui che per viltade fece il gran rifiuto.”.

Dante non dice espressamente chi fosse questo personaggio, ma in molti lo identificarono con Papa Celestino V.




Ho scelto questo personaggio per il mio approfondimento perché abbiamo qualcosa in comune… siamo entrambi molisani!

Ma chi è Celestino V? Perché Dante lo mette tra gli ignavi e lo disprezza così tanto?

Andiamo per ordine: Il nome di battesimo di Celestino V è Pietro Angelerio, nato nel 1209 circa in Molise da una famiglia di contadini.

Sulla località di nascita due comuni molisani ne rivendicano l'appartenenza: Isernia e Sant'Angelo Limosano (di cui è patrono).

Nel 1239 si ritirò come eremita in una caverna sul monte Morrone, presso Sulmona. Da qui il nome Pietro da Morrone.

Arrivò a Roma nel 1940 e qui studiò per prendere i voti, un anno dopo tornò sul monte Morrone e cinque anni dopo si ritirò in un luogo ancora più inaccessibile sulla Maiella, in Abruzzo.

Nel 1244 si allontanò brevemente dal monte Morrone per costituire una congregazione ecclesiastica riconosciuta dal papa Gregorio X come ramo dei benedettini detti “fratelli di Pietro da Morrone” con sede nell'eremo di Sant'Onofrio nel Morrone. In seguito diverranno i “celestini”.

Nel 1273 dovette recarsi a Lione per dover difendere la sua congrega dalla soppressione riscuotendo successo ed anche una discreta fama, tanto che il papa Gregorio X gli chiese di celebrare messa davanti ai padri del concilio di Lione, adducendo che nessuno era migliore di lui.


Quando Papa Niccolò IV morì, nel 1292  il concilio non riusciva ad eleggere il papa e per vari disaccordi si arrivò nel 1294 , Pietro da Morrone predisse al concilio che ci sarebbero stati gravi castighi alla Chiesa se non avessero eletto un papa.

Questa lettera che Pietro inviò al concilio fece sì che tutti i membri fossero attirati dalla figura di Pietro, e così, all'unanimità, Pietro da Morrone fu eletto il 5 Luglio 1294 ed incoronato papa il 29 Agosto dello stesso anno a L'Aquila come Celestino V.

Uno dei primi atti ufficiali fu l’emissione della cosiddetta Bolla del Perdono che elargiva l’indulgenza plenaria a tutti coloro che, confessati e pentiti dei propri peccati si fossero recati nella Basilica di Santa Maria di Collemaggio, nella città dell’Aquila, dai vespri del 28 agosto al tramonto del 29. Fu così istituita la Perdonanza, celebrazione religiosa che anticipò di sei anni il primo Giubileo del 1300, ancora oggi tenuta nel capoluogo abruzzese. 


Il nuovo Pontefice si affidò, incondizionatamente, nelle mani di Carlo d’Angiò, nominandolo “maresciallo” del futuro Conclave. Ratificò immediatamente il trattato tra Carlo d’Angiò e Giacomo d’Aragona, mediante il quale fu stabilito che, alla morte di quest’ultimo, la Sicilia sarebbe ritornata agli angioini.


Dietro consiglio di Carlo d’Angiò, fissò la sede della Curia nel Castel Nuovo di Napoli, dove fu allestita una piccola stanza, arredata in modo molto semplice e dove egli si ritirava spesso a pregare e a meditare. Di fatto il Papa era così protetto da Carlo, ma anche suo ostaggio, in quanto molte delle decisioni pontificie erano direttamente influenzate dal re angioino.


Quattro mesi dopo la sua incoronazione, il 13 Dicembre 1294, Celestino V nel corso di un concistoro lesse la sua lettera di dimissioni, incitato anche da Benedetto Caetani

<<Io Papa Celestino V, spinto da legittime ragioni, per umiltà e debolezza del mio corpo e la malignità della Plebe [di questa città], al fine di recuperare con la consolazione della vita di prima, la tranquillità perduta, abbandono liberamente e spontaneamente il Pontificato e rinuncio espressamente al trono, alla dignità, all’onere e all’onore che esso comporta, dando sin da questo momento al sacro Collegio dei Cardinali la facoltà di scegliere e provvedere, secondo le leggi canoniche, di un pastore la Chiesa Universale.>>


Undici giorni dopo fu eletto il cardinale Benedetto Caetani con il nome di Bonifacio VIII, il quale, temendo uno scisma, tenne sotto controllo Celestino V che però tentò di fuggire in Grecia, ma fu catturato a Vieste e incarcerato in un castello nel Frosinone dove morì due anni dopo terribilmente debilitato per la prigionia.

Nel 1313 fu canonizzato come papa angelico.




Ma come mai Dante aveva una così bassa stima per questo personaggio?

Ebbene, per colpa del suo rifiuto alla carica papale fu eletto Bonifacio VIII che favorì la vittoria dei guelfi neri a Firenze, causando di conseguenza l'esilio del nostro autore in quanto guelfo bianco.


Spero di avervi tenuto compagnia con la mia tappa e spero di avervi fatto conoscere delle cose nuove!

Come sempre qui di seguito troverete le tappe del blogtour e vi invito a leggere gli articoli degli altri colleghi blogger!















































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